
Self-leadership: l’arma segreta della produttività
15/05/2025Self-leadership nel volontariato è il tema su cui ruota il contenuto dell’articolo che ti propongo oggi.
Leadership e self-leadership
Nell’articolo precedente ho trattato il tema della self-leadership. Come avrai notato, quella e la leadership propriamente detta si intrecciano fortemente. Questo intreccio contiene in sé sia il massimo potenziale di un’organizzazione sia il massimo dei suoi problemi.
Sebbene questa situazione sia comune a ogni organizzazione umana, in quelle di volontariato il problema si manifesta al massimo grado. In queste situazioni, ogni membro ha il dovere di esercitare un’efficace self-leadership per assicurare che l’organizzazione possa raggiungere i propri obiettivi.
Ancor di più, come ho imparato in anni di vita associativa a vari livelli direttamente od osservando altre organizzazioni, per la sopravvivenza stessa del soggetto collettivo. Vediamo insieme perché.
Cos’è la self-leadership
Intanto vediamo cosa intendo per self-leadership: essa è la capacità della persona di auto organizzarsi in funzione di uno o più obiettivi o progetti. Fin qui, avrei potuto parlare forse di auto-organizzazione. Ma c’è dell’altro. Nella self-leadership, al fine di raggiungere in modo sostenibile gli obiettivi, vi sono quantomeno una componente di efficacia e una di efficienza.
Infatti, non è molto interessante organizzarsi per raggiungere un obiettivo in modo inefficiente, né in modo poco efficace. In quel caso avremmo spreco di risorse, tempo, energia mentale, fisica e così via. Per ora fermiamoci su questi aspetti.
Efficienza indispensabile
Nel mondo del volontariato il tema dell’efficacia e dell’efficienza è esasperato da alcuni fattori caratteristici. Il primo è la costante limitatezza delle risorse. Vero è che qualunque organizzazione ha sempre un quantitativo limitato di risorse a disposizione. Tuttavia, quelle di volontariato sono in questo stato di limitatezza per la loro stessa natura: si basano infatti sui contributi volontari di privati cittadini, e non svolgono attività in grado di generare profitto, cioè nuove risorse.
L’efficacia è a sua volta un elemento indispensabile. Il tempo che le persone operanti nell’associazione possono dedicare è solitamente scarso. Ovviamente, chi opera in queste organizzazioni “ruba” tempo a un altro lavoro, alla famiglia, a impegni e responsabilità altre per dedicarlo all’associazione. Bisogna che questo tempo limitato sia usato in modo estremamente efficace in direzione degli obiettivi. A differenza di un’impresa nella quale, in relazione alla crescita del volume d’affari si possono incrementare le risorse umane o materiali impiegate, nel volontariato è difficile trovare nuove persone, o più del loro tempo disponibile. Risorsa scarsissima, questo tempo va onorato e utilizzato con la massima efficacia, pena il mancato raggiungimento degli obiettivi.
L’etica efficace
A questo proposito mi piace citare un’opera indispensabile per qualunque leader di organizzazione di volontariato o impegno sociale: il Manuale dell’etica efficace, di Vincenzo Linarello. Vincenzo, suo presidente, e il Consorzio Sociale GOEL, sono un faro imprescindibile nell’impegno civile e nell’imprenditoria sociale in Italia.
In questo libro Vincenzo illustra con dovizia di riflessioni ed esempi come e perché l’etica debba diventare un efficace strumento di trasformazione desiderabile della società. Non sfugge all’Autore il problema che hanno molti movimenti e associazioni pur nati da ideali nobili e con obiettivi del tutto condivisibili: la mancanza totale di concretezza ed efficacia.
In questo il movimento cooperativo GOEL, con il contorno di tante imprese, cooperative e associazioni, rappresenta in modo perfetto l’esempio del “Programma costruttivo” gandhiano. In altre parole il modo più efficace di produrre un cambiamento profondo nella società. Ma torniamo al tema della leadership.
La mancanza del principio di autorità
Nelle organizzazioni volontaristiche, è tipicamente assente il principio di autorità nel modo in cui, per esempio, esiste nelle imprese. Più o meno ciascuno vale come ogni altro membro e, sebbene vi siano organi direttivi, difficilmente questi esercitano una vera autorità sulle persone.
A volte si manifesta un principio di autorevolezza, soprattutto agli inizi. Infatti, spesso all’origine di tali organismi vi sono una o poche persone con una grande visione. La visione e il carisma del/dei fondatori ispirano gli associati e per un po’ li trascinano con forza, sostituendo all’autorità un forte coinvolgimento. È il fascino del leader visionario, il suo carisma a sostituire l’autorità con un’autorevolezza che può sconfinare anche nell’autoritarismo per un po’. Appunto, per un po’ può funzionare, se il leader non esagera, a tenere assieme visione e operatività.
Ma questa spinta si esaurisce nel tempo. Può farlo sia perché l’organizzazione ha successo, sia perché non lo ha. I fondatori si stancano, le visioni vanno tradotte in atti efficaci, risultati vanno conseguiti. E, se le organizzazioni hanno successo, nei gangli si possono infiltrare personalità… senza self-leadership…
Membri disfunzionali
In generale, nelle organizzazioni di questo tipo le persone ricoprono ruoli in modo più o meno casuale. Intendo dire che non vi sono processi di selezione rigorosi del personale basati su competenze e attitudini, su capacità ed esperienza. Più o meno ognuno si occupa di ciò che vuole. Oppure, responsabilità e ruoli vengono attribuiti sulla base della disponibilità delle persone, non tanto sulle loro qualità specifiche. Peggio ancora quando vengono distribuiti incarichi da chi ne ha il potere sulla base di simpatia, conoscenza personale, lealtà, anche in tutta buona fede.
Persone inadatte al ruolo e alla responsabilità ricoperta, se non dotate di self-leadership, divengono disfunzionali all’organizzazione. Esse tendono a ricavarsi nicchie di di funzione o di potere nelle quali ciò che più conta sono loro stesse. Non necessariamente in malafede. Può trattarsi del bisogno di realizzazione, insoddisfatto in altre aree della vita, come dell’incapacità di valutare i propri limiti. Una persona totalmente inadatta al proprio ruolo, in mancanza di un’autorità che può destituirla o spostarla ad altro ruolo anche del tutto marginale, può distruggere un’intera organizzazione.
Mai creare organizzazioni, mi disse un Maestro
Molti anni fa, uno dei miei Maestri più importanti, Robert Happé, raccomandava nei suoi affollatissimi seminari: se volete cambiare il mondo in meglio non create mai organizzazioni. Aveva ragione, purtroppo.
Un’organizzazione, per quanto nata inizialmente da fini nobili, tenderà prima o poi a mettere in priorità la propria sopravvivenza rispetto agli obiettivi originari. Soprattutto quando ha successo, un’organizzazione tenderà ad attirare persone che desiderano usarla per crearsi qualche forma di gratificazione. Una struttura comporta sempre zone di “potere” personale, e l’accesso a queste strutture nel volontariato è piuttosto facile: basta metterci disponibilità di tempo e impegno. Non sono in genere richieste speciali qualità, attitudini o competenze.
Anche nelle organizzazioni più semplici e meno “prestigiose” (senza offesa) mi è capitato di vedere “cordate” ostili nelle elezioni degli organi direttivi. Ho assistito a lotte intestine degne di faide del Trono di Spade. Ho visto persone totalmente incapaci, cui inizialmente è stato affidato un ruolo perché non c’erano altri, aggrapparsi a quel ruolo e difenderlo a dispetto di ogni evidenza, anche se affossavano la relativa funzione. In breve, mancando una struttura funzionale improntata all’efficienza, il funzionamento dell’organizzazione, facilmente rende impossibile il raggiungimento degli obiettivi.
Self-leadership, la cura possibile
Una delle caratteristiche della persona dotata di self-leadership è una corretta percezione di sé, dei propri limiti e dei propri potenziali. Sa focalizzarsi sugli obiettivi dell’organizzazione e mettere il proprio meglio al servizio dell’insieme. Sa anche quando è necessario fare un passo indietro, perché qualcun altro potrebbe fare meglio nel ruolo, e privilegia il risultato collettivo.
Infatti, la self-leadership permette di controllare gli elementi necessari a raggiungere gli obiettivi con il minor consumo di energia, risorse e tempo. Un membro con tale dote vedrà se stesso con chiarezza come la tessera di un puzzle che ha lo scopo di completarsi, non come un quadro che cerca solo una cornice per risaltare sulla parete.
Allo stesso tempo, conoscendo i propri potenziali oltre ai limiti, saprà quando è opportuno fare un passo avanti, e proporsi nel modo migliore a un’attività che necessiti di uno sforzo in più o di una visione più ampia. Ma la ragione non sarà l’auto gratificazione, bensì la miglior efficacia dello sforzo collettivo. Ciò, in un’organizzazione senza meccanismi di comando e ruoli inquadrati in una struttura funzionale ben disegnata, è essenziale.
Gnocco fritto e pubbliche relazioni
Come mi faceva notare proprio stamattina un professionista impegnato in attività di volontariato: alla sagra di paese è tanto necessario chi frigge il gnocco fritto quanto chi fa PR e trova gli sponsor, quanto colui che dialoga con gli Enti per le autorizzazioni. In questo commento si vede chiaramente l’esperienza concreta del commentatore sul campo.
Come dicevo sopra, un elemento della self-leadership è la capacità di percepire correttamente se stessi, le proprie capacità, i propri limiti. Lo è anche la capacità di riconoscere le capacità e i talenti degli altri e di riconoscerne l’importanza per il successo dell’organizzazione.
Quindi, se ho ad esempio un membro che di mestiere fa il cuoco e un altro che di mestiere fa il responsabile relazioni istituzionali di una grande impresa, sarebbe logico che il primo si occupasse del gnocco fritto e il secondo della ricerca di sponsor. Sarebbe invece sciocco, profondamente egoico, se uno si sentisse superiore all’altro, oppure in un ruolo inferiore e brigasse per prendere quello dell’altro. Probabilmente, alla festa si mangerebbe pessimo gnocco fritto e non si sarebbero i soldi per del buon vino.
L’importanza di obiettivi chiari e concreti
Spesso l’organizzazione di volontariato, come detto, nasce da una o poche persone con grandi ideali e visioni lungimiranti. Ciò è bellissimo e nobile. Ma non sempre i leader visionari sono anche dei grandi realizzatori. Oltre a ciò, a volte queste persone tendono a essere sufficientemente motivate dalle proprie visioni. Capita, per esempio, che rimangano con la testa nell’iperuranio del livello della visione, ma si disinteressino dei progetti concreti. Ma molti di coloro che si aggregano strada facendo hanno bisogno di obiettivi tangibili, progetti concreti, impatti intermedi misurabili per avere un senso di coinvolgimento.
Qui la self-leadership del leader è fondamentale. In che senso? Anche il o i leader devono saper comprendere quando è opportuno fare un passo indietro, restando promotori della visione ma affidando ruoli operativi a persone più pragmatiche e competenti. Eccellenti doti manageriali sono forse più indispensabili nel volontariato che nelle imprese. Proprio per la mancanza di strumenti di controllo e gestione tipici dell’impresa, a volte il manager qui deve essere un vero funambolo. Capacità inventiva, genio per la risoluzione dei problemi, spirito altamente pragmatico, occhio rapido per comprendere le persone… Queste e altre doti sono indispensabili per gestire progetti in contesti di risorse ultra-scarse e personale non specialmente qualificato e non sempre disponibile.
La concretezza e la conclusione efficace di progetti anche minimi o intermedi, ma portati a termine ed efficacemente condivisi sono indispensabili. Essi generano il coinvolgimento e la gratificazione dei membri dell’organizzazione e attraggono nuovi membri motivati.
Delegare per la self-leadership nel volontariato
Alla base della self-leadership nel volontariato cè un efficace principio di delega. Se spesso nelle imprese familiari il fondatore fa fatica a mollare la propria creatura, nel volontariato può essere anche peggio. Sempre in buona fede, in genere: chi ha fondato un’organizzazione, magari per affrontare bisogni gravi in momenti di crisi, ha una motivazione fortissima. Si sente coinvolto nella problematica sulla quale lavora l’organizzazione, talvolta per ragioni di esperienze personali. Magari ha anche avuto visione di tanti progetti funzionali a un disegno che solo lui/lei sembra vedere. Tuttavia, deve guardarsi dal condurre quello che gli anglosassoni chiamano un one-man-show.
Qui si gioca un elemento fondamentale della self-leadership, l’abbiamo già menzionato: la capacità di fare un passo indietro. O meglio: il talento di mandare avanti le persone giuste per mettere a terra e concretizzare la propria visione, condividendola. Accettando anche di integrarla, o modificarla, mettendola più a fuoco e adattandola al contesto grazie al confronto e alla condivisione della responsabilità.
Lo so, pensare che qualcuno possa interferire con la visione cui abbiamo magari dedicato la vita può essere doloroso. Ma aprire uno spazio di dialogo e confronto con persone capaci, purché condividano i valori di fondo, è indispensabile. E fa bene alla missione.
Come si sviluppa la self-leadership?
Questa è una buona domanda da leader di qualunque organizzazione, o in ogni caso persona che ha una squadra di collaboratori.
La self-leadership è costituita da un insieme di qualità personali che possono in una certa misura essere sviluppate. Un mezzo importante per farlo è sicuramente la formazione. Meglio ancora sarebbe parlare di “educazione“. Questo concetto evoca il “tirare fuori” dalle persone il meglio di ciò che hanno dentro; è molto di più della formazione.
Soprattutto nel volontariato è difficile parlare di vera e propria formazione strutturata. Non ci sono spesso né il tempo né le risorse. Quindi è importante l’educazione, che avviene innanzi tutto attraverso l’esempio dei primi leader dell’organizzazione.
Educare significa prima di tutto saper vedere nelle persone quali talenti possiedono, dare loro fiducia e mezzi per esprimerlo. Un vero leader è quello che fa fiorire le persone, fa loro esprimere i talenti che hanno, fino anche al punto di superarlo. Ma è anche un vero leader colui o colei che sa aiutare le persone a vedere i propri limiti e tarare il proprio impegno e i propri ruoli operativi sulle proprie capacità, e non su velleità o bisogni di realizzazione sostitutivi di altro. È un ruolo, in definitiva, da mentore. In questo modo la persona così aiutata potrà impegnarsi in attività alla sua misura, mettendo a frutto i propri veri talenti in modo efficace.
Leadership attraverso l’esempio
Eh già: per poter avere una squadra composta di elementi dotati di self-leadership ci vuole un leader, che sia anche n ottimo self-leader. In pratica, un grande esempio.
È incredibile vedere quanti cosiddetti leader nel mondo delle organizzazioni di volontariato cascano in tranelli molto comuni. Per esempio, scegliere i collaboratori chiave in funzione di amicizia, lealtà, ma senza verificare che siano anche capaci ed efficaci. Oppure che sappiano a loro volta essere leader delle persone che dovranno collaborare con loro.
Le organizzazioni di volontariato non sono esenti dal malanno degli yes-men (yes-women in ugual misura, s’intende). È inizialmente più facile circondarsi di persone che seguiranno il fondatore o il leader senza mai discutere una sua istruzione. Avere collaboratori capaci, che pongono obiezioni e suggerimenti sensati e utili alla missione può essere più sfidante. Ma fa bene all’organizzazione e migliora il suo tasso di successo rispetto agli obiettivi prefissati.
Yes-men e simili, tipicamente impediscono ai membri attivi di sviluppare a loro volta la self-leadership. Anche quando le persone ne sarebbero dotate in modo innato. Ho sperimentato di persona ciò che ti dico sia come associato che come consulente. A questo punto l’organizzazione, magari partita alla grande, è destinata a esaurire la propria spinta molto presto.
La self-leadership del leader
Il buon leader deve possedere la qualità della leadership di se stesso per poter chiedere, e ottenere, il meglio dalla propria squadra. Questo significa che deve saper vedere se stesso come su una mappa: il territorio è rappresentato dalla situazione o dal problema che ha di fronte. Se stesso come la pedina al centro, che riceve stimoli e risponde con emozioni, pensieri, azioni o reazioni.
A differenza del leader di un’impresa che in buona misura potrà scegliersi la squadra sulla base delle esigenze di competenza ed esperienza, nel volontariato dovrà anche saper fare con qual che c’è. Dev’essere un vero artista della leadership.
Di conseguenza deve sapersi leggere, comprendendo le proprie interazioni con il contesto e gestendole, che siano emotive, mentali o corporee. Questa conoscenza strategica e tattica al contempo di sé in relazione al contesto permetterà di agire nel modo migliore per raggiungere gli obiettivi desiderati.
Ovviamente, un leader dotato di questa qualità sarà quello che riesce a mettere le persone al posto più adatto perché diano il miglior contributo alla squadra. Saprà anche motivare le persone inadatte a un ruolo e farsi da parte e trovare altri modi di impegnarsi nella missione comune. Saprà infine tarare gli obiettivi “ideali” in relazione alle risorse realmente disponibili. E così li raggiungerà.
Efficacia pratica per coinvolgere
Apparentemente coinvolgere le persone in missioni nobili e di grande valore, come tipicamente nel volontariato, sembrerebbe più facile che in un’impresa. In parte ciò è vero. Al contempo, contemperare missione valoriale di fondo con la concretezza e la realizzabilità è tutt’altro che facile.
Tempo fa ebbi un’illuminante conversazione con il prof. Francesco Traina, tra i fondatori di Orthopaedics, fondazione che opera nel campo in Africa da anni. Fu illuminante comprendere come l’organizzazione aveva trovato un equilibrio di grande buonsenso per ottenere il maggior impatto con le limitate risorse disponibili. Invece di praticare la chirurgia avanzatissima, a volte di frontiera che questi medici praticano in Italia e nel mondo ricco, hanno scelto di fare interventi concreti che possano beneficiare un massimo di persone, e soprattutto possano essere supportati localmente.
Facendo chirurgia di frontiera avrebbero potuto aiutare un numero molto limitato di persone, con grandi investimenti per attrezzature e infrastrutture. Forse avrebbero avuto più lustro. Ma avrebbero anche dovuto allestire una macchina organizzativa che avrebbe assorbito enormi risorse. Invece hanno optato per interventi sulle patologie più diffuse in un continente senza medicina di territorio e di base. Mi colpì ad esempio l’idea di formare tecnici ortopedici locali per trasformare scarpe da ginnastica in supporti ortopedici per correggere le malformazioni più comuni.
Benissimo una missione elevata, benissimo i fini nobili, ma meglio aver successo a nutrire i senzatetto della tua città che annaspare nel fallimento per affrontare il problema della fame nel mondo.
Rimando all’articolo precedente
Viste alcune specificità del settore del volontariato, o no profit, per gli elementi da trattare sul tema della self-leadership nel volontariato che non sono specifici ti rimando all’articolo precedente.
Temi come, ad esempio, i Bisogni Essenziali che muovono le persone, o il Metodo CASE® che ho elaborato per la leadership, puoi riferirti al mio libro Leadership sostenibile.
Consigli pratici per il leader
Per concludere, ecco invece alcuni consigli fondamentali da applicare per far funzionare bene la tua organizzazione di volontariato, di promozione sociale, fondazione o altra entità no profit basata sul lavoro volontario delle persone.
- Definisci chiaramente e inequivocabilmente la missione e i valori dell’organizzazione
- Definisci anche alcuni obiettivi concreti: ricorda di definirne per il breve, per il medio e per il lungo periodo. Andranno perseguiti contemporaneamente, ciascuno con i suoi mezzi appropriati
- Tra i valori, inserisci il principio di competenza e quello di efficacia. Ricorda che l’efficacia va misurata, perciò stabilisci indicatori per valutare l’avanzamento sugli obiettivi
- Rendi chiara l’equivalenza di valore tra tutti i ruoli, dimostralo e rafforzala con gesti concreti di apprezzamento
- Sorveglia i movimenti dell’ego dentro di te e tra i membri dell’organizzazione. Previeni l’incancrenimento di situazioni di squilibrio e di nicchie di potere personale. Sta a te la responsabilità di eliminare eventuali situazioni disfunzionali che potrebbero danneggiare ‘organizzazione
- Usa parte delle risorse disponibili per iniziative di educazione e sviluppo personale che aiutino l’espansione della self-leadership dei membri
- Sorveglia te stesso: verifica di essere obiettivo nell’attribuire incarichi, nel richiedere consiglio, nel valorizzare i membri della tua organizzazione.
- Sii umile e grato/a della possibilità di servire la comunità attraverso l’impegno nell’organizzazione. Così sarai di esempio e di ispirazione anche nel comportamento quotidiano
- Ascolta sempre attentamente e con discernimento ogni critica, consiglio, suggerimento. Pratica, come Gandhi la filosofia delle tre scimmie: non ascolto il male, non vedo il male, non dico il male.
- Agisci con giustizia, e tempestivamente quando è necessario. Per decidere cosa è giusto, coltiva il tuo equilibrio interiore e il discernimento tra cuore, mente e “pancia”, ovvero emozioni.
Se pensi che ti serva aiuto…
Il tema, come hai capito, è molto vasto e influenzato da diversi fattori. Il Metodo CASE® può aiutarti a condurre la tua organizzazione nel modo più efficace, efficiente e sicuro verso il raggiungimento degli obiettivi.
Se desideri valutare come potrei aiutarti, approfitta di una prima sessione gratuita di ascolto. Potremo valutare insieme le tue necessità e il potenziale di miglioramento.
Scrivimi a federico@federicofioretto.biz per un appuntamento.
Buona Vita