
Il conflitto è sempre un’opportunità
16/04/2025Cosa insegna un fallimento è la domanda da cui parte l’articolo di oggi.
Nessuno è esente dal fallimento
Perfino Gastone, il mitico cugino super fortunato di Paperino avrà avuto qualche fallimento nella propria vita. Ci scommetterei.
Sostituiamo la parola terribile “fallimento” con espressioni come “obiettivo mancato”, oppure “errore”, oppure “esperienza conclusa”; subito diventa più facile ammettere che ogni essere umano incontra la delusione di non raggiungere qualche obiettivo nel corso di una vita. È parte dell’esperienza umana, e non c’è nulla di cui vergognarsi, anche se il concetto di fallimento ha portato a lungo lo stigma della condanna sociale.
Con il giudizio negativo della società per il “fallito”, abbiamo preso l’abitudine di pensare all’esperienza di mancare un obiettivo come una tragedia. L’esasperato approccio competitivo nella quasi totalità dei percorsi educativi e lavorativi, ha esacerbato ulteriormente il peso di questo tipo di esperienza.
Un fallimento va nascosto al meglio possibile, se proprio non si riesce a evitarlo, ma questo ha delle conseguenze.
Ciò che neghi non insegna
Se dopo l’esperienza di un fallimento, che sia personale o professionale, tutta la concentrazione va nel negarlo a noi stessi e nasconderlo agli altri, perdiamo l’occasione di imparare dall’esperienza. Ed è un grave errore, perché da un fallimento ci sono un sacco di cose da imparare.
Una prima conseguenza della negazione del fallimento è che diventerà sempre più duro affrontare future esperienze analoghe. Esperienze che capiteranno, purtroppo per te. Come ho detto all’inizio, nella vita capita continuamente di mancare obiettivi, che lo vogliamo o no.
Ma se non riusciamo ad accettare che sia normale il fatto di mancare un obiettivo di tanto in tanto, andrà a finire che invece di sentirci dispiaciuti, anche delusi, ma pronti a ripartire con energia per la prossima esperienza, ci identificheremo con il fallimento. Sentiremo di essere dei “falliti”. Questo stato mentale ha conseguenze molto importanti sulla capacità di affrontare la vita in modo efficace. La fiducia in se stessi, infatti, è un elemento fondamentale del senso di autoefficacia necessario a vivere una vita piena e proattiva.
Mai dare la colpa a qualcun altro
Lo scrittore Edgar Rice Burroughs, l’inventore del personaggio di Tarzan, disse una volta: un uomo può fallire molte volte, ma non diventa un fallito finché non comincia a dare la colpa a qualcun altro. Bellissimo! L’autore ci ricorda che il fallimento nel raggiungere obiettivi o risultati è un’esperienza normale della vita, e non necessariamente deve generare un’identità negativa nella persona che fa quest’esperienza una, dieci o cento volte.
Ma al contempo mette in guardia sul rischio di cadere nel tranello della giustificazione del fallimento con responsabilità altrui, che sia di collaboratori, concorrenti, del clima, del Governo o di un Dio ostile. La raccomandazione che discende da questa riflessione dello scrittore statunitense riporta al concetto di responsabilità. Dobbiamo sempre assumere la nostra responsabilità di fronte ai nostri fallimenti.
Assumere la nostra responsabilità significa cogliere l’opportunità di scoprire quali scelte o azioni che abbiamo compiuto hanno portato al fallimento. Senza curarci più di tanto di eventuali corresponsabilità altrui; mi spiego con un esempio: mettiamo di aver fallito perché abbiamo investito su un importante progetto contando significativamente su un partner che si è poi rivelato disonesto. Nulla toglie la disonestà del partner, il quale se la dovrà vedere con se stesso e con la sua vita. Ma a noi non serve dirci che abbiamo fallito a causa della disonestà del partner, perché il partner lo abbiamo scelto noi, ci siamo fidati, abbiamo creduto a qualcosa, per esempio la leale collaborazione, che non era reale. Questo si che serve a noi per il futuro. Ci potremo chiedere perché ci abbiamo creduto, per esempio magari perché “volevamo credere” e siamo stati sordi a segnali evidenti. E così via.
Se invece ci lasceremo portare via dallo scarico delle responsabilità su qualcun altro, allora diventeremo, come dice Burroughs, dei “falliti”, cioè ci identificheremo come vittime che possono essere in balia di fattori esterni. Senza responsabilità, ma anche senza alcun potere di creare il proprio successo in eventi futuri.
Accogliere il fallimento apre orizzonti
Cosa insegna un fallimento, dunque, se lo accogliamo a mente aperta? Difficile accoglierlo, diciamo, con allegria. Abbiamo diritto ad avere obiettivi e desideri e mancarne la realizzazione può legittimamente dispiacerci, e darci un po’ di tristezza. Ma non bisogna farsene abbattere, poiché si tratta di un’esperienza comune, e ripetuta, per tutti gli esseri umani.
Accogliere l’esperienza del fallimento significa semplicemente prendere atto che è accaduto, ammetterlo. Come nel primo passo del Metodo CASE®, bisogna osservare i fatti. Solo dai fatti reali possiamo costruire il benessere nella nostra vita. Quindi, se il fatto è che abbiamo mancato un obiettivo, è accaduto qualcosa di diverso da ciò che desideravamo, quella è la situazione e bisogna prenderne atto.
Lo so che sembra banale, ma non lo è affatto. Come dicevo, la negazione e il nascondimento sono spesso le prime azioni che mettiamo in pratica dopo un fallimento.
Se accogliamo l’evento, allora possiamo analizzarlo e cercare di trarne il massimo dell’utilità. Forse ti sorprenderà sapere che, nella mia visione della vita, un fallimento a volte è più importante di un successo per avanzare nella conoscenza di sé e nella consapevolezza. E queste, per me, sono le cose più importanti.
Uno sguardo dall’Oriente
Del resto, se nel pensiero occidentale il successo è spesso considerato il metro con cui valutare il valore di una persona, in Oriente vi sono punti di vista molto diversi.
Persone che hanno raggiungo risultati straordinari nella vita, come il Mahatma Gandhi, l’uomo politico che ha portato l’India alla libertà dal giogo coloniale inglese, hanno seguito una filosofia diversa: quella del Karma Yoga. Non te la faccio lunga, perché non è questa la sede. Tuttavia, l’essenza di tale filosofia insegna ad agire secondo le proprie convinzioni etiche, ma senza alcun attaccamento al risultato delle nostre azioni.
Per il pensiero occidentale, questo modo di pensare è incomprensibile, ma se provi a pensarci un momento ti renderai conto che porta una serenità enorme. Oltre a concentrare tutto lo sforzo nell’autocoscienza e nella ricerca di ciò che è per noi giusto e cosa no. A quel punto, agiremo in modo convinto poiché quell’azione è quella giusta da fare. Diventerà molto meno importante allora se otterremo il risultato prefissato o meno. Avremo fatto qualcosa con convinzione e ciò sarà di appagamento in sé.
Una buona cultura dell’errore
Lasciamo per ora l’Oriente e torniamo a noi. Nel momento in cui prendiamo atto di aver mancato un obiettivo, possiamo analizzare le cause del fallimento. Possiamo comprendere cosa non ha funzionato, quali passaggi sono mancati, cosa non abbiamo compreso strada facendo per cui non abbiamo agganciato il nostro vagone al treno del successo.
Imparare molto spesso non è un percorso fatto di studio e teoria, senza nulla togliere al valore dello studio. “Trial & error”, (tentativo ed errore), come dicono gli anglosassoni, è un metodo di miglioramento e apprendimento che ha portato a grandi risultati nel campo dell’innovazione. La buona cultura dell’errore è un elemento fondamentale di una sana cultura aziendale. Soprattutto in campi dove l’innovazione continua è indispensabile. Come è possibile innovare se non si provano, senza timore di rimproveri o sanzioni in caso di fallimento, nuove strade, nuove soluzioni, a volte anche ardite?
Ecco quindi che per il successo serve un buon approccio al fallimento. Nessuno deve essere scoraggiato dal fallimento di un progetto o di un obiettivo. Ma tutti devono essere arricchiti dall’esperienza fatta. Per questo, una cultura che portasse a nascondere gli errori, oppure a evitare di prendere qualunque rischio di fallimento, sarebbe mortale per qualunque attività umana, figuriamoci per un’impresa.
Svelare l’autoinganno
Cosa insegna un fallimento, dunque? Mille cose, tra cui cosa vogliamo fare dal giorno in cui abbiamo chiuso con un’esperienza finita male in avanti (che sia un progetto, un’attività d’impresa o un matrimonio non fa differenza). L’essere umano è un’animale capace di proiettarsi nel futuro. Questa capacità questo talento, è un’arma a doppio taglio. La capacità di progettare il futuro, di porsi obiettivi a lungo termine, di “vedere” il futuro già realizzato con la mente, è magnifica. Ma a volte ci porta a farci travolgere da illusioni auto-ingannevoli.
Possiamo finire coinvolti profondamente in progetti che sono il frutto di condizionamenti culturali, familiari, di momenti di ubriacatura causati da qualche moda o dall’enfasi che il discorso pubblico dà a certe attività. Possiamo, e questo è un caso frequente, non aver ascoltato fino in fondo cosa sentiamo “nella pancia” rispetto a un’iniziativa, ma esserci fatti coinvolgere per inconsapevolezza. O incapacità di dire un “no” a qualche condizionamento esterno, In questi casi, vivremo “nel futuro”, cioè saremo fuori dal tempo presente e isolati dalla possibilità di “sentire” cosa vogliamo veramente, cosa ci farebbe davvero stare bene, essere felici. Come ben insegna Eckhart Tolle, il futuro non esiste, il passato è una memoria: l’unica realtà è il momento presente. Nel quale eventualmente si pongono i presupposti del futuro.
Il fallimento, è un reset, che ci porta forzatamente al momento presente. Non a caso succede spesso che dopo un fallimento si dica di trovarsi “con il culo per terra”. Bene, tale posizione è la migliore per ascoltarsi in profondità e trovare ispirazione per nuove opportunità. Ma se ci lasciamo abbattere dalle emozioni negative, svalutanti e colpevolizzanti sul fallimento, allora non le coglieremo, e l’occasione sarà andata perduta.
Metodo CASE® per usare utilmente il fallimento
Un utile aiuto per decodificare cosa insegna un fallimento viene dal Metodo CASE®, specialmente dalla versione per le transizioni. Nel flusso di applicazione del Metodo, che inizia con la Fase Cognitiva, un passaggio fondamentale è quello di nominare le emozioni in gioco e assumere responsabilmente le proprie. Questo passaggio, uno dei 9 Passi, si combina con l’osservazione dei fatti e la raccolta delle informazioni dirette per arrivare a una comprensione profonda di ciò che è stato in gioco durante l’impresa non riuscita.
Solo comprendendo bene cosa è accaduto e come ci si è ritrovati al momento presente sarà possibile avvalersi della seconda Fase: quella Analitica. In questa fase, soprattutto se con l’aiuto di un consigliere preparato nel processo del Metodo CASE®, sarà possibile comprendere quali sono i Bisogni essenziali che ci muovono, e i Fondamenti, cioè per esempio i progetti per il futuro, con i quali cerchiamo di soddisfarli.
Questo passaggio è fondamentale, che si tratti di persone fisiche o di organizzazioni, per utilizzare le proprie risorse per il soddisfacimento dei bisogni reali e prioritari. Lo spreco di risorse, sia nelle aziende che nella vita delle persone, su progetti e attività non prioritari, è una delle cause maggiori del mancato raggiungimento degli obiettivi più importanti, a volte vitali.
Ecco quindi la Fase Strategica arrivare e permettere di definire priorità, obiettivi e risorse necessari per proiettarsi verso un futuro perfettamente adatto a noi, o alla nostra organizzazione.
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