
Il Metodo CASE® per le transizioni
13/06/2024
Quanto costa accompagnare il passaggio generazionale in azienda?
07/04/2025Il passaggio generazionale in azienda rappresenta la sfida più grande per l’imprenditore.
Un sistema fatto di imprese familiari
Il sistema economico italiano è formato da una miriade di medie e piccole imprese, in genere di proprietà familiare. Si parla secondo varie fonti di una percentuale superiore al 70-75% del totale delle imprese del nostro Paese. La storia di queste imprese ha di solito alcuni punti in comune.
Si inizia dall’idea brillante del fondatore, spesso un tecnico, molto bravo nel suo mestiere ma senza una grande formazione manageriale. Del resto, agli inizi questa non serve tanto: se l’idea è buona, funziona e l’impresa potrà crescere, anche alla svelta. Non c’è bisogno di un’organizzazione perfetta: tanta voglia di lavorare, ritmi forsennati e una squadra motivata. Le startup, possiamo dire, le abbiamo inventate in Italia nel secondo dopoguerra!
Un problema endemico
tutto questo sistema di intrecci tra impresa e famiglia rappresenta una pressoché infinita serie di passaggi generazionali. Si tratta di un momento che, volenti o nolenti, tutti gli imprenditori devono affrontare, è la vita. E il passaggio generazionale è la sfida più grande per l’imprenditore.
Si tratta di una sfida non solo personale dell’imprenditore. In effetti, una delle cause più diffuse di morte dell’azienda è proprio il fallimento del passaggio generazionale. Purtroppo, una delle debolezze dell’essere umano è quella di credersi immortale. Ovvero, di posporre senza limite la riflessione prudente sul fatto che, prima o poi, si dovranno tirare i remi in barca, e passare il timone.
Chi scrive conosce bene questo tema: sono nato imprenditore di seconda generazione. Per mia fortuna, i miei genitori sono stati lungimiranti e la successione in azienda, come quella nel patrimonio familiare, è avvenuta in modo morbido, senza difficoltà e soprattutto senza problemi per l’azienda e i suoi collaboratori dovuti a questioni legate alla nostra famiglia.
L’impresa come patrimonio sociale
In effetti, bisogna ricordare che l’impresa, seppure sia stata sostenuta in molti casi con il patrimonio della famiglia, e dunque ne faccia logicamente parte, tuttavia è anche un patrimonio della comunità.
Un’impresa genera lavoro, dal quale possono dipendere migliaia di famiglia, e soddisfa bisogni, in modi che a volte sono difficilmente sostituibili. Oltre a sviluppare molto spesso innovazione che, se dapprima beneficia l’impresa stessa e i suoi azionisti, diventerà prima o poi patrimonio comune. Storicamente, le imprese hanno generato innovazioni importantissime, sulla spinta dell’ambizione, della creatività, del genio inventivo di imprenditori e collaboratori.
Un’impresa che chiude, o che perde la spinta generativa per una successione fallita, è un danno non solo per l’imprenditore e la sua famiglia, ma per tutta la comunità.
Il demolition derby della successione
Il passaggio generazionale spesso va a finire in quello che sembra un “demolition derby”. Hai presente quei pazzi che si affrontano su un grande campo sterrato con auto da demolizione? Lo scopo del gioco è di demolire tutte le altre auto, cercando di mantenere la propria funzionante fino alla fine. Ma hai presente, anche se “vinci”, come ne verrai fuori, tu e la tua auto?
Ecco, molto spesso il passaggio generazionale in aziende familiari assomiglia a questo sport pazzesco. Tutti contro tutti, senza comunicare, senza collaborare, senza legittimare gli uni il sentire e i bisogni degli altri. Proprio nella fase nella quale ci sarebbe bisogno in effetti del massimo della comunicazione e dello spirito collaborativo.
Prevenire per un buon passaggio generazionale
Quando parlavo della mia esperienza personale, avrei dovuto sottolineare un aspetto fondamentale: la successione fu preparata per tempo. Lavoravo già in azienda da più di dieci anni quando mio padre e mia madre uscirono dalla gestione dell’impresa di famiglia. Inoltre, fin da ragazzo avevo passato del tempo durante le vacanze scolastiche sui cantieri con i tecnici e a fare il fattorino in ufficio, quando serviva. Si, anche a correre al bar a prendere caffè e brioches quando capitava di passare la notte in ufficio a chiudere qualche grossa offerta.
Non è stata una passeggiata, soprattutto quando mio padre mi ha buttato nell’arena poco più che ventenne a gestire la parte commerciale di un’impresa di costruzioni, uno degli ambienti peggiori per etica e cultura. In fondo, questo fu i motivo per cui dopo 9 anni da presidente e CEO vendetti l’impresa. Ma da giovane mi ci feci le ossa… qualche frattura si vede ancora…
Fuori dalla mia storia personale, un buon passaggio generazionale va preparato in anticipo. È responsabilità dell’imprenditore, in genere un fondatore, valutare presto se e quali eredi in famiglia hanno la vocazione per succedere nei ruoli di vertice dell’azienda. E, una volta fatto questo, iniziare a “passare le conoscenze”.
Il caso peggiore: la realtà rifiutata
Il passaggio più doloroso che a volte si presenta è quello di scoprire che nessuno degli eredi naturali ha le stigmate dell’imprenditore. Questa eventualità è spesso vissuta dell’imprenditore come un fallimento personale, o come un tradimento da parte dell’erede/degli eredi.
Questo rende la situazione inaccettabile, il che significa che viene rifiutata, negata. Gli aspetti psicologici di questo rifiuto della realtà sono variegati e in genere vanno molto in profondità ad avvelenare i pozzi delle relazioni familiari.
Secondo le varie personalità in gioco, gli esiti possono essere diversi. A volte uno o più eredi, ma solitamente uno, si ritrova “costretto” a fare l’imprenditore contro la sua volontà. Divengono persone sofferenti, infelici e in genere non sono in grado di sviluppare l’impresa, quando non l’affondano del tutto. A volte si sfascia la famiglia, in una catena di conflitti infiniti, di rancori e incomprensioni.
In ogni caso, non accettare la realtà è la cosa peggiore che l’imprenditore possa fare, per l’impresa e per la propria famiglia.
Creare una realtà desiderabile
Accettare la realtà, anche se non ci piace, è il modo migliore di costruire un futuro accettabile, perfino desiderabile.
Scoprire per tempo che i propri eredi non hanno le stigmate dell’imprenditore o del dirigente d’azienda permette di adeguare le proprie aspettative e le esigenze dell’impresa prima di doversi ritirare. O di “essere ritirato” dalla vita. Intanto, c’è la possibilità di attrezzare al bisogno qualche erede che, magari perché ancora immaturo o non adeguatamente formato, può poi divenire una figura solida e utile all’azienda.
Oppure si può preparare una successione patrimoniale adeguata, lasciando l’azienda in mano a un management affidabile, competente, che garantirà alle generazioni successive una rendita importante. Al contempo, questa soluzione metterà al riparo l’azienda e i suoi collaboratori da una possibile chiusura per incapacità degli eredi.
Certo, magari il fondatore dovrà rassegnarsi alla delusione di non aver generato un nuovo (o nuova) capitano d’industria. Ma, siamo sinceri: non possiamo pensare che tutta la generazione di coraggiosi imprenditori che l’Italia ha avuto nel secondo dopoguerra si sarebbe duplicata senza fallo. Oltretutto, in un contesto che oggi è molto diverso da allora, nel quale la difficoltà di fare impresa è moltiplicata per mille.
Conflitti da trasformare
Poiché siamo sul terreno del Metodo CASE® non posso non ricordare che il passaggio generazionale ottimale è il risultato di una eccellente trasformazione di conflitti fra Obiettivi, Priorità e Bisogni delle generazioni in gioco. Per questa trasformazione sarà sempre opportuno che la famiglia dell’imprenditore si rivolga a un aiuto esterno competente e serio.
Non lo dico per vendere i mei servizi, è questione di credibilità e legittimazione da parte di tutti i membri della famiglia in gioco nella successione. Serve una figura terza rispetto alle persone coinvolte, qualcuno che sappia porsi veramente come al di fuori dai giochi, al di sopra delle parti.
La buona comunicazione, che costituisce la base del Metodo CASE®, è la chiave di volta di un buon passaggio generazionale. Essa permette di legittimare e comprendere i bisogni di ciascuno, rispettandone la natura e le emozioni profonde. Da qui possono essere messi a frutto i talenti e favorite le aspirazioni di ciascuno, compresa l’impresa stessa, in quanto patrimonio anche della comunità.
Per fare questo servono competenze sia relazionali che comunicative, antropologiche e sociali, oltre che una infarinatura di psicologia dei conflitti. Difficilmente questa competenze fanno parte del bagaglio interno all’impresa o alla famiglia. Un altro motivo per rivolgersi a un aiuto competente esterno.
Competenze o “anima”?
Una volta trasformati i conflitti e messi su una solida fondazione collaborativa tutti gli attori, si può fare un bilancio delle competenze necessarie ad assicurare un passaggio generazionale efficace. Non prima. È inutile, infatti, pensare a cosa servirebbe in una ipotesi non garantita, cioè quella di una successione ideale ma, in pratica, non realizzabile perché i soggetti coinvolti non collaborano, non partecipano.
La nuova generazione andrà formata a competenze manageriali, certo. Ma soprattutto andrà trasmessa dall’imprenditore la “conoscenza” profonda, quel patrimonio che egli/ella ha sviluppato, spesso autonomamente, nel corso dell’esperienza. È l’anima dell’impresa che deve passare di mano. Non paia questo un discorso romantico, privo di fondamento pratico.
Nessuno fa l’imprenditore soltanto per questioni logico-razionali, come se fosse un sistema per far denaro, ottenere potere, posizione sociale rilevante o altro. Chi lo facesse solo per questi motivi sarebbe un pazzo, e soprattutto dimostrerebbe di non avere idea di cosa vuol dire fare l’imprenditore. Perché gli eredi di un’imprenditore possano prenderne degnamente il posto, e continuare la sua visione – aggiornata al mondo contemporaneo, s’intende – dovrà passar loro lo spirito con cui è stata creata e condotta l’impresa. Mentre coloro tra gli eredi che eventualmente non siano adatti, o non sentano, di volerne far parte, dovranno accogliere questa realtà ed esserne accolti dal fondatore che lascia il timone.
Da dove partire?
Bene, per ora abbiamo messo anche troppa carne al fuoco: il passaggio generazionale è un tema complesso, ma almeno i fondamenti dovevo includerli in questo articolo.
Se pensi di avvalerti del mio aiuto, il primo passaggio fondamentale è di conoscerci e inquadrare il tema specifico che si presenta nella tua realtà concreta.
Perciò, se hai trovato interessante questo articolo, ti offro una prima call gratuita di 30′ per poter comprendere come posso aiutarti. Scrivimi semplicemente una mail a: info@federicofioretto.biz