
Cosa insegna un fallimento?
08/05/2025Self-leadership: l’arma segreta della produttività… e non solo, vorrei aggiungere, è il titolo dell’articolo che ti propongo oggi.
Per una volta l’inglese
Come sa chi mi segue da tempo, non amo ricorrere alla lingua inglese quando mi esprimo in italiano. La mia lingua madre è bellissima, ricca e permette di esprimere tutte le sfumature di cui ho bisogno. Tuttavia, ci son a volte termini che è difficile tradurre. Soprattutto, ci sono concetti che circolano ormai quasi esclusivamente in lingue diverse dalla mia e sarebbe arduo condividere e far comprendere ostinandosi sull’italiano.
La prova? Ho tentato di esprimere il concetto di cui voglio parlare oggi in italiano. La migliore che mi è venuta è stata “auto-comando”, con variazioni del tipo “auto-possesso”… ti risparmio il resto. Alla fine mi sono arreso. Perciò, parliamo ora di cos’è secondo me la self-leadership e perché è l’arma segreta della produttività. E non solo.
Cos’è la self-leadership
Chiamo self-leadership la capacità della persona di auto organizzarsi in funzione di uno o più obiettivi o progetti. Fin qui, avrei potuto parlare forse di auto-organizzazione. Ma c’è dell’altro. Nella self-leadership, al fine di raggiungere in modo sostenibile gli obiettivi, vi sono quantomeno una componente di efficacia e una di efficienza.
Infatti, non è molto interessante organizzarsi per raggiungere un obiettivo in modo inefficiente, né in modo poco efficace. In quel caso avremmo spreco di risorse, tempo, energia mentale, fisica e così via.
La persona dotata di self-leadership ha una corretta percezione di sé, dei propri limiti e dei propri potenziali. Perciò è in grado di controllare gli elementi necessari a raggiungere gli obiettivi con il minor consumo di energia, risorse e tempo.
Tutto qui?
Se ti poni questa domanda il caso migliore è che tu non abbia mai dovuto collaborare in una squadra, e sia dotato di una forte self-leadership. In questo caso, potresti considerarla una dote naturale, scontata. Ma dubito che questo sia il caso: sarebbe un po’ “inumano”, cioè non apparterrebbe con molta probabilità all’esperienza umana.
Altrimenti, temo che tu non sia mai stato responsabile delle risorse investite in un progetto, dovendo rispettare scadenze e lottando con la limitatezza delle risorse. Oppure, che il tuo benessere o un tuo obiettivo importante non sia mai dipeso da un eccellente lavoro di squadra.
Se invece sei una persona che ha responsabilità o aspettative rispetto al raggiungimento di obiettivi sono altre le domande che ti porrai: ne sono sicuro. Per esempio…
Come si sviluppa la self-leadership?
Questa è una buona domanda da leader, imprenditore o in ogni caso persona che ha una squadra di collaboratori.
La self-leadership è costituita da un insieme di qualità personali che possono in una certa misura essere sviluppate. Un mezzo importante per farlo è sicuramente la formazione. Meglio ancora sarebbe parlare di “educazione”. Questo concetto evoca il “tirare fuori” dalle persone il meglio di ciò che hanno dentro; è molto di più della formazione.
Educare significa prima di tutto saper vedere nelle persone quali talenti possiedono, dare loro fiducia e mezzi per esprimerlo. Un vero leader è quello che fa fiorire le persone, fa loro esprimere i talenti che hanno, fino anche al punto di superarlo.
Quindi serve prima la tua leadership…
Eh già: per poter avere una squadra composta di elementi dotati di self-leadership ci vuole un leader: tu!
È incredibile vedere quanti cosiddetti leader nel mondo delle imprese o delle organizzazioni impediscono ai collaboratori di sviluppare la self-leadership. Anche quando le persone ne sarebbero dotate in modo innato. Ho sperimentato di persona ciò che ti dico come consulente.
Ho anche sperimentato come imprenditore e datore di lavoro quanto sia impegnativo lavorare con persone dotate di quella qualità. Ma ho anche sperimentato quanto sollievo ti dà avere attorno collaboratori di cui ti puoi fidare. Perché ti permetteranno di delegare anche parti importanti del tuo lavoro. E lo porteranno a termine, come e a volte meglio di come avresti fatto tu.
La self-leadership del leader
Sembra uno scioglilingua, ma è il nocciolo di un bel po’ di problemi che si verificano nelle organizzazioni: molti “leader” non hanno self-leadership. Guardano soltanto agli altri e solo dagli altri si aspettano prestazioni, come fossero macchine.
Ma il buon leader deve possedere la qualità della leadership di se stesso per poter chiedere, e ottenere, il meglio dalla propria squadra. Questo significa che deve sapersi vedere come su una mappa: il territorio rappresentato dalla situazione o dal problema che ha di fronte. Se stesso come la pedina al centro, che riceve stimoli e risponde con emozioni, pensieri, azioni o reazioni.
Di conseguenza deve sapersi leggere, comprendendo le sue interazioni con il contesto e gestendole, che siano emotive, mentali o corporee. Questa conoscenza strategica e tattica al contempo di sé in relazione al contesto permetterà di agire nel modo migliore per raggiungere gli obiettivi desiderati.
Ovviamente, un leader dotato di questa qualità sarà quello che riesce a mettere le persone al posto più adatto perché diano il miglior contributo alla squadra. E raggiungano gli obiettivi.
Condurre è prima di tutto coinvolgere
So che probabilmente da un paio di paragrafi ti starai chiedendo quali sono le qualità che compongono la self-leadership. Ma io sono qui per aiutarti, non per darti risposte facili alle domande sbagliate. Dedicare tempo ad approfondire e riflettere sui temi importanti è un carattere di base del vero leader!
Un buon leader, cioè in italiano un condottiero, colui che conduce una squadra al successo, è prima di tutto colui che coinvolge. Coinvolgere le persone in un’impresa significa far sentire che i tuoi obiettivi sono anche i loro. Una volta il condottiero lo faceva promettendo la spartizione del bottino. Ora servono altri metodi, ti sarà ovvio.
Per motivare bisogna saper comprendere i Bisogni Essenziali che muovono le persone, e fare in modo che lavorare con te li soddisfi. Ho scritto in maiuscolo e grassetto i termini perché li intendo nel senso scientifico esposto nel mio libro Leadership sostenibile.
Ascoltare prima di tutto
A questo punto una qualità del buon leader la nominiamo, dai! Saper ascoltare è fondamentale. Intanto, ascoltare bene permette di acquisire informazioni precise e approfondite. Quindi, se tu leader dimostrerai ai tuoi collaboratori come si ascolta, potranno anche loro imparare a farlo. È il primo passo della self-leadership.
Questo significa che quando darai loro istruzioni, o chiederai loro un aiuto, di fare qualcosa o di portarti qualche informazione, ciò che dici passerà con chiarezza. Non ci saranno perdite di tempo dovute a quella fretta e superficialità nell’ascolto (o nella lettura) che causano un’enormità di sprechi nelle organizzazioni.
La maggior parte delle persone ascolta “a mezzo”. Ti sente, ma intanto pensa ai fatti suoi, oppure a cosa potrebbe risponderti, oppure trae conclusioni prima di aver sentito tutto e averlo assimilato ed elaborato. Alcuni, e sono i più irritanti, mentre parli pensano a come dirti loro cosa pensano sull’argomento, senza tener alcun conto di ciò che hai detto tu.
Ascolto empatico per conoscere
La capacità di ascolto empatico è alla base dell’insieme di qualità che chiamiamo intelligenza emotiva. Questa è una dote essenziale alla leadership, necessaria a decodificare le emozioni proprie e altri, sapendo poi cosa farci. Necessaria forse anche a una vita serena e appagante, ma questo è un altro discorso. In ogni caso, saper ascoltare le tue persone empiricamente ti permette anche di conoscerle meglio.
Esistono diversi test per valutare le caratteristiche delle persone e per cercare quale sia il ruolo più giusto nella squadra per ciascuno. Anche le costellazioni sistemiche sono uno strumento formidabile per mettere ciascuno al posto migliore: l’ho provato con i miei collaboratori con l’aiuto dell’amico e collega Antonio D’Este e funziona incredibilmente bene.
Ma al di là dei test e di altri metodi, l’ascolto empatico, attivo e sinceramente interessato alle persone è ciò che ti permette di conoscerle. Ognuno di noi agisce inevitabilmente per soddisfare uno o più dei propri Bisogni Essenziali. Questi sono sopravvivenza, benessere, identità e libertà. Ti risparmio qui la teoria, che puoi trovare sempre nel mio libro. Ovviamente si declinano in vari modi, ma la loro soddisfazione È la nostra motivazione fondamentale.
Costruire relazioni
Ecco un’altra qualità del leader e, non ti stupirà a questo punto, della self-leadership. Eh si, perché per saper raggiungere obiettivi in modo efficace ed efficiente, bisogna saper costruire relazioni.
Quindi, per te che sei il leader, il consiglio è di costruire relazioni umane, vere con le persone della tua squadra. Non ti consiglio di mostrarti interessato a loro. Ti chiedo di interessarti a loro. Una delle cose che hanno fatto grande la Olivetti di Adriano è stato il livello pazzesco di innovazione. Sai qual era uno dei suoi segreti? Era interessato a ogni persona con cui veniva in contatto. Sapeva che da qualunque essere umano può venire un’idea, un contributo utile.
E sapeva come motivare i collaboratori: li coinvolgeva, poi li ascoltava. Già due grandi qualità da leader. Diversamente dal paternalismo un po’ antico del padre Camillo, Adriano aveva veramente interesse a che i suoi collaboratori stessero bene e sentissero che il bene dell’aziende era anche il loro. E credeva che, per essere un prezioso collaboratore, più dell’esperienza professionale contasse la personalità. Per questo voleva conoscere le persone, non i loro CV.
Non esiste successo senza collaborazione
Anche se tu praticassi uno sport individuale, non vinceresti le olimpiadi da solo. Dovessi mai metterti al collo quella medaglia, avresti avuto accanto a te allenatore, preparatore atletico, nutrizionista, medici, fisioterapisti, magari un insegnante di Yoga, altri atleti per confrontarti…
L’essere umano è un essere sociale, ed è fatto per collaborare. Una qualità importante della self-leadership è saper percepire i propri limiti, accoglierli e mettere a frutto il potenziale che c’è.
Ciò è controintuitivo per coloro che vedono il leader, anche di se stesso, come una persona con un grande ego, che si erge sopra la massa. Tutt’altro. È molto più efficace una umile consapevolezza dei propri limiti con un impegno totale sui propri talenti che il credersi superuomini. Per questo è necessario anche conoscere i propri punti di forza, non solo i limiti, per poterli metter a frutto nel modo migliore.
Una persona dotata ti self-leadership è preziosissima in una squadra, perché è quella che, istintivamente, si piazzerà nel ruolo più efficace al fine che la squadra raggiunga i propri obiettivi. Non sarà mai quella che causa conflitti per mettersi in luce individualmente. L’obiettivo è la priorità, e va perseguito con efficacia ed efficienza, insieme.
Uno scopo più grande
Da qualche anno è diventato di moda parlare di purpose. Adesso mi toglierò un sassolino dalle scarpe: a me da fastidio tutto questo blaterare di purpose. Intanto perché non c’è bisogno di usare una parola inglese: in italiano si dice scopo. Quindi il purpose (stendiamo poi un pietoso velo sulla pronuncia, generalmente in milanenglisc) non è altro che lo scopo per cui un’organizzazione esiste. Tiriamocela meno e facciamo più fatti.
Lo scopo per il quale un’organizzazione esiste deve essere più ampio del profitto degli azionisti, se vuoi che i collaboratori siano motivati. È innato negli esseri umani il desiderio di operare per un miglioramento delle condizioni della comunità. Lo è inconsciamente anche oggi, nell’era della violenza e dell’individualismo esaltati 24/7 dai media.
Nella teoria dei Bisogni Essenziali che espongo nel mio libro spiego come uno di quelli dell’organizzazione sia di soddisfarne almeno uno dei suoi stakeholders e mai lederne alcuno. Anche qui non ti tedio con la teoria e ti rimando, se vuoi, al libro. Questo è necessario perché l’organizzazione abbia la legittimazione sociale a esistere (license to operate, dicono gli anglosassoni).
Come i Blues Brothers
Ricordi la frase iconica pronunciata da Jake dopo aver assistito alla messa nel film i Blues Brothers: “siamo in missione per conto di Dio“? Ecco, come il personaggio interpretato da James Brown nel film, per indurre un atteggiamento di self-leadership nei tuoi collaboratori dovrai anche tu ispirarli con una missione altamente positiva… beh, anche con più sobrietà, se vuoi!
Detto in altri termini, affinché i collaboratori siano ben motivati a impegnarsi al massimo perché l’organizzazione raggiunga i propri obiettivi, dev’essere ben chiaro come questi contribuiscono al benessere collettivo. Oltre che a quello degli azionisti, il quale in sé non è affatto ritenuto negativo.
Se riuscirai a trasmettere alle persone i tuoi valori (che dovranno essere veri!) e far comprendere quali benefici per la collettività comporta raggiungere i tuoi obiettivi, vedrai miracoli. Non c’è KPI che possa produrre più risultati di quelli di persone motivate a fare del proprio meglio al servizio degli obiettivi dell’organizzazione.
Aiutare lo sviluppo della self-leadership
In conclusione, la self-leadership è la capacità di mettere il proprio meglio al servizio del raggiungimento di un obiettivo. Vale lo stesso per un obiettivo individuale, personale, oppure collettivo.
Come leader di una squadra o di un’impresa puoi fare molto per aiutare lo sviluppo di questa dote nelle tue persone. Puoi iniziare da una sana cultura dell’errore, per esempio. Permetti alle persone di provare nuove strade, di spingersi oltre il conosciuto per migliorare i processi o i prodotti. Provando cose nuove si sbaglia, ma si impara. Molte delle imprese più innovative e di maggior successo hanno una sana cultura dell’errore.
Un’altro elemento fondamentale è dare buoni e utili riscontri (gli anglosassoni lo chiamano feedback). Ogni leader di una squadra deve saper dare riscontri costruttivi e rinforzanti alle sue persone, aiutandole negli elementi della self-leadership. Per esempio nella corretta percezione di sé, dei propri limiti, dei potenziali, degli errori E dei successi. Lo preciso perché spesso i “leader” danno per scontati i successi dei collaboratori invece di sottolinearli, rafforzandone il senso di auto efficacia e l’autostima.
Se vuoi provare il Metodo CASE® per rinforzare la self-leadership
L’argomento, avrai capito, è molto vasto e questo articolo aveva lo scopo di darti alcuni spunti di riflessione e alcune nozioni di base.
Oltre al libro che ti ho indicato, Leadership Sostenibile, dove puoi trovare oltre alla teoria molti esempi, l’applicazione del Metodo CASE® può aiutarti a sviluppare la self-leadership: sia la tua sia quella dei tuoi collaboratori.
Lo possiamo fare sia con una consulenza personale sia con delle attività di formazione e, come ti dicevo all’inizio, di educazione. E in tanti altri modi, tra cui sicuramente il più adatto a te.
Scrivimi a federico@federicofioretto.biz se vuoi approfittare di un primo consulto gratuito per inquadrare la tua situazione e vedere cosa possiamo fare per te e la tua organizzazione.
Buona Vita a te!