
L’Alba di un Nuovo Mondo – Parte Quarta
28/04/2020
Pandemia e Climate Change: è ora di agire!
03/07/2020Eccoci giunti al quinto e ultimo articolo di questa breve serie sulla Visione e gli scenari futuri di sviluppo delle imprese e del management per il mondo “post-Coronavirus”.
Quinta Parte: l’Educazione delle Leadership
È chiaro a questo punto che le leadership del Nuovo Mondo dovranno avere competenze molto diverse da quelle insegnate oggi a chi deve assume ruoli dirigenziali. Che ne sarà dunque della formazione del management come la conosciamo?
Dovrà anch’essa trasformarsi profondamente, come il resto della nostra società.
Materie umanistiche, filosofia, psicologia applicata, antropologia, biologia di base, sono alcune delle materie che dovranno entrare nel curriculum dei nuovi manager. L’insegnamento dovrà scrollarsi di dosso le rigide strutture accademiche, con docenti spesso ingessati nei loro ruoli e lontani dall’esperienza “sul campo”, per divenire più aperto e flessibile, più vicino alla vita reale.
Dovrà anche ridimensionarsi notevolmente la proliferazione di corsi, lauree e master nati all’inseguimento dei trend più comuni, motivati fondamentalmente da ragioni di profitto per gli atenei, i quali non solo hanno spesso illuso i partecipanti di acquisire competenze e importanti opportunità professionali, ma hanno abbassato notevolmente il livello medio della cultura e dell’intelligenza operativa e sociale del management e della comunità.
Anche i centri di educazione e formazione dovranno rispondere ai Bisogni Essenziali e la loro prosperità non derivare dalla moltiplicazione artificiale del fatturato bensì dal Valore generato per i propri stakeholders; questo significa fornire la formazione adatta a “navigare” con sicurezza e prosperare nell’epoca del Climate Change.
Gli insegnanti dovranno essere più “educatori” – cioè persone in grado di facilitare l’espressione di un potenziale insito nelle persone – che “docenti” – coloro che da una posizione d’autorità imprimono conoscenza su menti che l’ignorano. Oltre agli esperti delle materie e della loro applicazione concreta, dovranno intervenire testimoni come operai, fattorini, impiegati, amministratori pubblici, infermieri, agricoltori, negozianti… persone con esperienza di vita in tanti contesti diversi che possano aiutare lo sviluppo dello spirito critico e di una visione olistica dei problemi nei futuri leader.
Ci vorranno tempo e opportunità di fare reale esperienza, dato che sui banchi dell’università, come della scuola, si impara poco sulla vita: è come voler imparare com’è l’India standosene a casa a studiare il National Geographic. Se non senti gli odori, se non ti trovi in mezzo alla folla incredibile di un treno o di un mercato, se non passeggi in una foresta himalayana, non saprai mai com’è. Ma sarà un grosso problema se crederai di saperlo e dovrai prendere decisioni sulla pelle della sua gente. Così è per il manager. La “gavetta” dovrà tornare a essere un passaggio fondamentale d’apprendimento dell’umiltà e del “mestiere”, e l’apprendistato dovrà diventare la regola anche per il management, addirittura come punto d’onore in un percorso formativo.
E gli insegnanti nel Nuovo Mondo? Saranno soprattutto costoro che dovranno acquisire e assorbire i nuovi valori, più ancora che le materie. Sono i role model – gli esempi – che formano la cultura profonda di una generazione, dunque la nuova impronta umanista dovrà venire prima di tutto dall’esempio di chi ha il ruolo di educatore. Anche qui l’accademia dovrà spogliarsi degli ermellini e delle “baronie”, ritornando a essere un luogo di confronto, condivisione e di sviluppo del sapere al servizio della società. Il “corpo docente” dovrà essere aperto, integrando figure come i “testimoni” di cui accennavo prima, in uno scambio continuo tra realtà del lavoro e dell’educazione.
Nel mondo vi sono già tanti esempi di formazione extra accademica, di livelli qualitativi vari ma alcuni eccellenti, seppur non dotati dei mezzi promozionali dei grandi atenei. La rivoluzione educativa è già in atto, ma dovrà divenire velocemente mainstream, per poter affrontare i tempi che ci aspettano.
Un’altro elemento che caratterizzerà la formazione all’epoca del Climate Change, richiedendo grandi cambiamenti, è il pubblico cui si dovrà rivolgere, sempre più appartenente alle generazioni dai Millennials in poi. Si tratta di generazioni molto esigenti, veloci nel prendere decisioni come i loro pollici nel digitare, ma per questo a volte superficiali, che necessitano di un carisma molto forte per farsi coinvolgere. La loro attenzione va in genere più ai Valori che ai contenuti. In virtù della superficialità indotta dal mondo digitale in cui crescono, richiedono di essere fortemente stimolati per apprendere a imparare e dirigere la loro curiosità verso la complessità profonda piuttosto che esclusivamente verso la velocità. Sono “studenti” molto esigenti nei confronti dei loro insegnanti e, figli di una generazione di genitori – quella dello scrivente, per evitare equivoci – francamente non eccezionale, hanno bisogno di role models eccellenti cui ispirarsi. Fortunatamente sono per natura inclini alla sostenibilità e in genere molto più pronti all’adozione di stili di vita e di consumo adatti all’era del Climate Change di quanto non lo siano i loro predecessori. Per educatori disposti a coinvolgersi in modo creativo e dialogico con i loro studenti saranno coorti molto stimolanti.
La diffusione della formazione “in remoto” comporterà un’ulteriore sfida, soprattutto qualitativa. In queste settimane di crisi da “pandemia” si è assistito a un proliferare di corsi, webinar e altre fantasiose formule di “formazione” online. Costa poco farli e sono un ottimo veicolo per farsi conoscere a basso investimento. Ma la qualità? Se è vero che nel Nuovo Mondo potrà esservi un ampio accesso a formazione e informazione a costi bassissimi (si veda l’ipotesi di J. RIfkin esposta nel suo “Green New Deal”), dall’altro lato sarà molto importante trovare modi di valutare la qualità e che si instaurino meccanismi autoregolatori di selezione “naturale”.
A questo proposito credo che dobbiamo imparare da quel che accade nel campo dell’informazione giornalistica, ove l’accesso sostanzialmente illimitato alla produzione di contenuti e la concorrenza selvaggia al ribasso dei costi hanno avuto come risultato lo scadimento gravissimo della qualità e la perdita di credibilità dei mezzi d’informazione. Diversamente da Rifkin, credo che non si possa avere qualità senza pagarla, perché per generare qualità servono impegno, intelligenza, cultura e tempo, tempo umano.
Quindi, così come per vivere nel mondo della bulimia d’informazione d’incertissima qualità serve lo sviluppo parallelo della cultura e del senso critico, gli stessi strumenti dovranno essere sviluppati nel campo dell’educazione. Saranno nel medio periodo i risultati prodotti che potranno dire se un centro educativo produce formazione di qualità o meno. Il facile accesso alle informazione e la velocità di circolazione di commenti e recensioni potranno aiutare a rendere più rapida ed efficiente la selezione. Tuttavia, la frequenza sociale e lo scambio costante di esperienze e informazioni dirette tra persone reali, di molte estrazioni diverse, resteranno strumenti indispensabili alla crescita qualitativa delle nostre classi dirigenti.
L’interazione già dai primi anni di formazione con soggetti provenienti da ambienti molto diversi renderà anche più facile ai leader sostenere il ruolo di informatori-educatori dei propri stakeholder. Questo sarà uno degli strumenti principali per il successo del radicale cambio di rotta che l’economia e la società dovranno eseguire. Infatti, così come fino a oggi questo ruolo era agito in modo occulto, attraverso la pubblicità e la persuasione, per stimolare l’aumento dei consumi indipendentemente dai Bisogni, ora competenze molto simili dovranno servire a orientare il pubblico a favore delle scelte responsabili e sostenibili delle imprese e delle organizzazioni. È fattibile, senza alcun dubbio, purché ce ne sia la volontà.
Con questo articolo si conclude la pentalogia dedicata al “Nuovo Mondo” che nasce dalla “pandemia” del 2020 e vivrà al tempo del Cambiamento Climatico, per cercare di fermarlo e garantire la sopravvivenza dell’umanità nel lungo termine. Confido di aver dato un piccolo contributo alla discussione sul futuro e che sia possibile, su queste linee, attivare sinergie e collaborazioni nell’interesse collettivo prima di tutto.