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07/06/2018Leadership è purtroppo una parola inflazionata nel discorso sull’impresa e sulle organizzazioni. Molte sono anche le definizioni correnti di questo concetto. Per ragionare sulle parole a me piace sempre partire dal vocabolario. Lasciando da parte il termine inglese che ormai tutti usiamo, vado perciò a esplorare il significato di “guidare”, che ne è la traduzione italiana. La prima definizione che trovo è: “Precedere o condurre lungo un percorso, accompagnare come guida”. Come esempi, condurre un cieco o la guida turistica. Poi “Servire come punto di riferimento e orientamento”; come esempio “la luce del faro guidava la nave”. Già da qui comincio a non riconoscere il “boss” che molti sedicenti leader sono diventati e altri continuano, nelle varie Business Schools, a studiare per divenire. Sebbene un significato successivo sia “Comandare, capeggiare”, avente come esempio le truppe, continuo a non essere convinto sullo stile “boss”.
Infine trovo “Portare a compiere una certa azione o a raggiungere una meta”, “Educare, ammaestrare fornendo gli esempi e i consigli necessari”, “Ispirare fungendo da punto di riferimento”… Ci siamo: il leader, e il suo compito, sono definiti. Egli, o ella, è la persona dotata della maggior conoscenza o comprensione di una situazione che conduce uno o più suoi simili a raggiungere determinati obiettivi, dando loro esempio e riferimenti, aiutandoli a crescere e innalzare il proprio livello di conoscenza, consapevolezza o maturità.
Dopodiché l’esperienza, conoscenze psicologiche, sociali e antropologiche con cui non voglio tediare qui il lettore, ci dicono che il buon leader è anche quello che collabora, che sa ascoltare i contributi del suo team, fare un passo indietro al momento opportuno e così via.
Qui però voglio soffermarmi su un aspetto molto importante della leadership: il far crescere le proprie persone, aiutarle a sviluppare il loro potenziale. Per questo, l’esperienza mi ha insegnato che uno strumento chiave è il feedback. Senza esagerare con l’analisi semantica, ricordo solo che si tratta di “informazione sulla prestazione di una persona utilizzata al fine di un miglioramento”. Niente a che vedere, comunque, con la sfuriata del “boss” né con la ricerca del colpevole di un errore con il conseguente, inevitabile scaricabarile…
Gli elementi fondamentali di un buon feedback sono:
- Il Perché
- Il Cosa
- Il Come
- A) Vediamo il “Perché”: dare un buon feedback è un’arte sottile, che richiede prima di tutto uno stato d’animo adeguato. Il feedback migliore viene da chi veramente ha il desiderio di aiutare la persona cui lo dà a migliorarsi, esprimere una maggior frazione del proprio potenziale ed essere più soddisfatto di sé. Nella leadership c’è indubbiamente un aspetto pedagogico per il quale, senza scadere nel paternalismo che ne è un aspetto deteriore, a chi conduce appartiene una maggiore responsabilità, conoscenza o esperienza, o capacità di comprendere la situazione contingente e le sue possibili evoluzioni. Pertanto, si presume che il leader possa osservare i propri collaboratori e suscitare chiavi di lettura più compiute sui loro comportamenti, in modo che le persone possano conoscere sempre meglio se stesse, migliorarsi e imparare a superare i propri limiti, esprimendo l’intero proprio potenziale grazie a una forte e continuamente rinnovata motivazione. È molto difficile conciliare questi obiettivi con un feedback giudicante, valutativo, sbrigativo, focalizzato su ciò che non va bene, mirato alla persona piuttosto che al suo comportamento come spessissimo accade.
Diviene invece tutto più semplice se l’intento è chiaro, se il leader è consapevole del valore strategico della liberazione del potenziale dei propri collaboratori ed è fortemente impegnato a favorirla. A quel punto sarà anche interessato e disponibile ad apprendere modelli efficaci di feedback, adottarli e valutarne l’efficacia sul campo.
- B) Il “Cosa” è un altro aspetto da comprendere. Vi sono approcci al feedback che raccomandano di evitare qualunque accenno a elementi negativi della prestazione e menzionare solo ciò che è stato fatto bene. L’idea è di rafforzare le qualità e i talenti delle persone, senza rischiare di demotivarle dando rilievo a ciò che hanno fatto di inefficace o “sbagliato”. Può essere un approccio estremo, che lascia alcune perplessità, soprattutto se applicato senza senso critico. In realtà, anche secondo questa Scuola si possono affrontare gli aspetti negativi dei comportamenti, ma soltanto dopo che in precedenti occasioni di feedback si è rafforzata la fiducia del collaboratore nei propri mezzi e nelle proprie capacità che, come tutti, in qualche misura egli/ella avrà senz’altro. In ogni caso, un feedback che abbia come contenuto solo le cose che non vanno è da evitare, perché molto difficilmente porta a un miglioramento dei comportamenti e genera piuttosto frustrazione, perdita di autostima e senso di auto-efficacia.
Un utile aiuto a determinare il “Cosa” del feedback viene da un modello che trovo molto efficace in ogni campo: ALOBA (Agenda-Led Outcome Based Analysis), sviluppato per l’insegnamento delle competenze di comunicazione agli studenti delle professioni sanitarie. Per traslato, il modello è applicabile nel contesto di qualsiasi organizzazione ogni qualvolta vi sia un clima che favorisce l’atteggiamento di miglioramento continuo e l’auto-riflessione. Del resto, sappiamo che questo è il clima delle imprese più performanti, perché è quello che genera la motivazione e l’engagement più alti.
In ALOBA, il “Cosa” viene determinato prevalentemente dal desiderio di apprendimento o di miglioramento, dello studente. Nel caso di un’impresa al posto dello studente avremo il collaboratore del leader, o i membri del suo team. Quando il feedback viene dato in un gruppo, si avrà semplicemente cura di istruire il gruppo sulle modalità nelle quali il processo di feedback deve svolgersi per essere efficace e il leader ne sarà il facilitatore e il supervisore, dando ampio spazio al lavoro d’insieme.
Vedremo meglio trattando il “Come” in che modo il “Cosa” emerge dal processo, ma qui anticipo che l’esperienza insegna come in genere le persone dimostrino una notevole capacità di lettura dei processi e delle proprie attività quando incoraggiate da un ambiente non giudicante e costruttivo. Molto frequentemente lo sguardo che lo “studente” e con esso il gruppo di lavoro hanno sulla situazione si rivela accurato, e la domanda di miglioramento emerge con chiarezza. Perciò è proprio dalle persone stesse protagoniste degli eventi e dei processi che emerge l’oggetto del feedback finalizzato alla loro crescita professionale e personale. Lavorando su un “Cosa” richiesto spontaneamente, anche la qualità dell’apprendimento – o del miglioramento – è maggiore e si fissa meglio, restando nel tempo patrimonio acquisito dei collaboratori del leader.
- C) Eccoci ora al “Come”: innanzi tutto è molto importante che il feedback sia concentrato sui comportamenti e non diretto alla persona: “Hai omesso dei passaggi di verifica del processo, e ciò ha permesso il verificarsi dell’incidente”, piuttosto che “Sei superficiale”, per capirci. Dev’essere descrittivo di fatti o accadimenti e non valutativo: ad esempio è meglio “Quando il cliente ti stava chiedendo informazioni sul prodotto guardavi unicamente lo schermo del computer, e non hai avuto praticamente contatto visivo con la persona davanti a te” piuttosto che “È stato pessimo: hai completamente ignorato il cliente”. Deve essere specifico, e dare al ricevente la possibilità di cogliere un nesso con le proprie azioni e agire per migliorarne l’efficacia. Meglio “Hai colto bene che le prestazioni termiche del prodotto erano critiche, ma non sembra che tu sia riuscito a esplorarne fino in fondo la causa e risolvere il problema” piuttosto che “La tua capacità progettuale è da migliorare”. È più efficace quando si esprime con suggestioni o l’offerta di possibilità alternative che non con modalità direttive: meglio “Pensi che potrebbe aiutarti a risolvere un problema analogo avviare rapidamente un confronto con la Produzione?” che non “La prossima volta confrontati con la Produzione”. Infine, deve partire da una verifica dell’esperienza – o dell’autovalutazione – dello “studente” e/o del team: “Secondo te, dati gli obiettivi che avevi, come è andata: senti di averli raggiunti? In che misura? Cosa ha funzionato? Cosa secondo te non ha funzionato?”. Se la loro percezione fosse che il processo è stato eccellente e gli obiettivi completamente raggiunti, vi sarebbe un lavoro ben diverso da fare rispetto ad aiutarli a sviluppare miglioramenti del processo!
Vediamo ora in pratica come il leader può utilizzare il modello per migliorare l’efficacia di un team di collaboratori.
ALOBA viene utilizzato con il team durante riunioni di riflessione su eventi o processi, in pratica ogni qualvolta vi sia il desiderio o l’esigenza di migliorare qualche comportamento o performance. Vediamo come può essere messo in pratica.
- Il gruppo viene istruito sulle regole auree del processo di feedback, in modo che il processo stesso si svolga in modo costruttivo. Il mio auspicio è che questa diventi una pratica costante e l’istruzione sia ben radicata nei membri dell’organizzazione
- All’inizio del processo Il Leader sollecita un riepilogo degli obiettivi che il processo voleva raggiungere; se vi è un responsabile del processo su cui si riflette sarà questi a fare il riepilogo e avere il ruolo dello “studente”. Altrimenti potrà essere una sollecitazione aperta a chi tra i membri voglia fare il riassunto;
- Successivamente viene richiesta (sempre allo “studente”) una autovalutazione sul livello di raggiungimento degli obiettivi e una riflessione su cosa ha funzionato e cosa no. Se gli obiettivi erano chiari dovrebbe essere evidente se sono stati raggiunti oppure no. Se non lo erano… sarà il leader a dover fare una buona riflessione!
- Il gruppo – istruito sulle modalità efficaci di contribuire al processo in modo non giudicante, sensibile e costruttivo – viene sollecitato a fornire proprie riflessioni sia sugli obiettivi e su ciò che ha funzionato o meno, sia su possibili strategie alternative per rendere il processo più efficace in futuro
- Il leader, durante tutto il processo, contribuisce con la propria esperienza indirizzando la discussione verso il miglior risultato possibile, ascoltando attentamente e valorizzando tutti i contributi utili
- In conclusione si dà una struttura e si riassumono tutti i punti emersi dal feedback come elementi di apprendimento/miglioramento in modo che a ciascuno sia chiaro cosa “porta a casa” da applicare per il futuro e quali migliorie apportare al processo
Il feedback con il singolo collaboratore è analogo, mancando semplicemente la parte di istruzione del gruppo sulle modalità del processo.
Con un approccio razionale e un intento autentico di aiutare i propri collaboratori a crescere il leader può davvero ottenere grandi risultati dall’utilizzo del feedback con i propri collaboratori, ottenendo non solo un miglioramento dei processi e dell’interazione interpersonale nell’organizzazione, ma anche un forte engagement di tutti nel raggiungimento degli obiettivi comuni. Come effetto collaterale, infine, anche il leader può imparare molto da questo processo, sia sui propri collaboratori, sia sui processi e gli obiettivi della propria organizzazione, sia su se stesso.