Industry 4.0 senza una Leadership 4.0 è un gioco mortale
01/12/2016Costruire sistematicamente un Futuro Sostenibile
01/01/2017Si parla spesso di conflitti, e di conflict management, nel mondo delle imprese, ma è molto pericoloso affrontarli senza una conoscenza profonda delle loro dinamiche.
Si rischia di lasciarsi sfuggire quelli più importanti, oppure di lavorare solo sugli effetti e non sulle cause.
È abituale pensare al conflitto come una frizione tra persone, che si esprime con difficoltà relazionali, dispetti, mobbing, se non con veri e propri scontri in campo aperto; così si concentra tutta l’attenzione sul cercare di “mettere pace” tra le persone in questione.
E se l’attrito fra persone fosse solo il sintomo palese di un malessere profondo nell’organizzazione?
La risposta viene dall’antropologia e dalla matematica: infatti sono stati gli antropologi a svelare i meccanismi dei conflitti, studiando le predisposizioni relazionali umane, mentre la Teoria dei Giochi ne ha fornito conferma sperimentale.
Senza addentrarci nei dettagli, è importante sapere che confliggere è per l’Uomo un modo innaturale di risolvere le divergenze e se lo usa è perché il contesto lo favorisce; possono esservi fattori interiori o esteriori, di solito entrambi, ma in ogni caso è possibile agire per risolvere la situazione alla radice e ripristinare condizioni d’efficacia.
Purché si sappia dove mettere le mani.
Un primo passaggio solitamente trascurato è quello d’individuare il livello al quale si situa il conflitto, per poter agire efficacemente; prendiamo come esempio un classico conflitto fra produzione e commerciale – che si manifesta con continue discussioni tra i rispettivi dirigenti. Mi riferisco a un caso reale.
Se il problema è di livello organizzativo, è inutile insistere a operare solo su quello interpersonale.
Un’azione limitata alle persone porta solo a risultati temporanei, poiché il problema organizzativo permane e ricreerà in futuro lo stesso problema.
L’azione va assunta a livello di direzione generale e, ad esempio, può riguardare un modo diverso di predisporre i budget, investimenti nell’area produzione, procedure per la personalizzazioni degli ordini, nuove prassi di approvvigionamento del magazzino materie e semilavorati e così via.
Il conflitto è un sintomo, non la patologia; questa va accuratamente diagnosticata in modo da risolverne le cause ed evitare continue ricadute.
Esse comportano costi incontrollabili e ripetuti – nell’esempio ridotta produttività, penali per ritardo nelle consegne, difetti di produzione, insoddisfazione dei clienti.
Il conflitto che si cronicizza è una minaccia mortale per l’organizzazione perché i suoi effetti tendono a diffondersi come metastasi ed erodere le capacità degli altri organi.
Si possono generare difficoltà finanziarie per ritardati incassi, perdite di quote di mercato, demotivazione e dimissioni di collaboratori “chiave” e via distruggendo.
Alla diagnosi serve un metodo per scoprire le vere radici da cui parte il conflitto, in modo da giungere alla soluzione trasformativa, in cui tutte le parti del conflitto vedono soddisfatti i loro bisogni; ma quali bisogni?
Certamente non il desiderio di umiliare l’altro, oppure pretese irragionevoli dovute a un ego smisurato, men che meno richieste dovute all’incompetenza.
Ci vuole un parametro affidabile; personalmente ho dato risposta a questo problema sviluppando il Metodo CASE® che considera i Bisogni Essenziali, attingendo alla cinquantennale esperienza nel campo della ricerca sui conflitti.
Chi studia le dinamiche conflittuali sa che nessuno entra in conflitto se non sente realmente minacciato qualcosa di profondo, consapevolmente o meno.
Il CASE® rende accessibile a tutti il compito di individuare le necessità imprescindibili delle persone e/o dell’organizzazione che sono alla radice della situazione conflittuale, la cui soddisfazione è accettabile da tutte le parti.
Non si tratta di mediare, come si fa quando ci si concentra sul “mettere pace” tra due litiganti; si va invece a rimuovere gli ostacoli all’espressione completa del potenziale dell’organizzazione e dei suoi componenti. Per questo il CASE® è un metodo prima di tutto di Leadership efficace.
Nel caso di esempio, applicando il CASE® si considerano i bisogni dei due dirigenti, quelli delle funzioni aziendali che ricoprono e dell’impresa nel suo complesso; c’è un punto di convergenza tra i bisogni di tutti i soggetti, ed è questo che va trovato, per conseguire alla fine gli obiettivi dell’impresa.
Per farlo servono certamente le competenze e la conoscenza del Metodo, acquisibili con la formazione al CASE®, ma anche uno sguardo il più possibile neutro e acuto al contempo, tipico di chi ha lavorato a fondo su se stesso e conseguito un solido equilibrio di giudizio.
Perciò a volte è meglio che questa ricerca e il processo trasformativo siano assistiti da un estraneo al contesto conflittuale; l’approccio del consulente che usa il Metodo CASE® non apporta soluzioni preconfezionate, bensì assiste le persone e/o le funzioni aziendali che sono coinvolte nella ricerca delle soluzioni più adatte a loro, cosicché sarà possibile applicarle e mantenerle nel lungo periodo nel contesto reale.
Una solida competenza nel campo della trasformazione dei conflitti, dunque, credo dovrebbe trovarsi nella “cassetta degli attrezzi” di qualunque executive o manager, oltre al fatto che essa è utile nella vita di tutti, dal momento che i conflitti sono purtroppo pane quotidiano (e avvelenato) per tanti.
Informati sul Metodo CASE® consultando le CASE History su questo sito web oppure inviando una mail diretta per conoscere le condizioni per organizzare un incontro presso la tua organizzazione.